Il bullismo oggi

Il bullismo in epoca recente è divenuto un fenomeno internazionale, con caratteristiche sostanzialmente comuni, che lo rendono diverso da quello storico, pur evidenziandosi con esso un indubbio rapporto. Il bullismo era ben presente nell’area europea, e perciò anche italiana in particolare a Roma, sin dall’Ottocento, ma i suoi precedenti possono farsi risalire all’età rinascimentale, quando compare in figure dalla Commedia dell’arte e ancora più indietro a personaggi della società dell’antica Roma, quali il Miles gloriosus dell’omonima commedia di  Plauto.
Sembra che la parola bullo compaia per la prima volta in un piccolo volume stampato a Venezia nel 1583, nel quale è presente un personaggio, il capitano di ventura Sier Ragno Bule. Ma il rapporto forse più diretto è con il tedesco medievale bühle, amatore, amante sfrontato, o più probabilmente ancora con il tedesco bulle, toro, ma anche uomo violento e grosso, prepotente. In ogni caso in epoca recente in Italia si sono affermati i termini bullo e bullismo, modellati sull’inglese bullying, probabilmente senza risalire coscientemente all’uso che dei termini era stato fatto sin dalla metà del sec. XIX. In  Scandinavia e in altri paesi del nord Europa è adoperato il  termine mobbing.
Il bullismo contemporaneo è un fenomeno assai complesso, che interessa prevalentemente il mondo giovanile, sia maschile che femminile, con una costante tendenza a manifestarsi – seppure in casi limitati – sempre più precocemente, in un’età compresa tra i sette e i dieci anni. Correntemente con bullismo si definisce un comportamento riscontrabile in bambini e ragazzi che mettono in atto prepotenze fisiche o psicologiche nei riguardi di loro coetanei. Si tratta di azioni che possono essere di breve durata o continuare nel tempo, ma che sono sempre sostenute dalla intenzionalità di procurare un danno fisico (con calci, spinte, pugni, ecc.) o morale (con assidua presa in giro della vittima, escludendola dal gruppo, facendo circolare voci denigratorie sul suo conto). Un aspetto particolare del bullismo, affermatosi in epoca recente è costituito dal cosiddetto cyberbulling (o bullismo elettronico) consistente nell’inviare alla vittima per mezzo di sms messaggi insultanti o nel trasmettere ad altri informazioni o filmati denigratori nei riguardi del soggetto che si intende diffamare. Il bullismo – che è ormai un fenomeno di massa – attraversa le diverse classi sociali e si manifesta prevalentemente nell’ambito scolastico, in un’età compresa per lo più tra i dieci e i diciotto anni. Le cause dell’affermarsi e del diffondersi del bullismo nei giovani dell’età contemporanea sono molteplici; tra le principali si possono indicare: la crisi della famiglia tradizionale; i modelli fuorvianti proposti dai mass-media, in particolare da certi programmi televisivi; la mancanza di validi ideali; l’alienante condizioni di vita di molti giovani nelle aree urbane.
Il bullismo si manifesta, come si è detto, sempre più precocemente; da esso è estranea ogni motivazione politica e si configura come una sorte di cannibalismo rivolto verso i componenti più deboli del gruppo. Può presentarsi con caratteri e comportamenti di aperta aggressività nei confronti di uno o più membri della comunità (per lo più una classe scolastica) o anche con l’isolamento e l’emarginazione della vittima, o delle vittime, dal contesto sociale. Sotto l’aspetto socio-psicologico il bullismo contemporaneo si configura dunque come il desiderio di affermazione proprio di soggetti che non riescono a trovare attraverso i canali tradizionali (scuola, sport, associazionismo, ecc.) la possibilità di far valere la loro personalità. Esso è pertanto la spia di un disagio umano e sociale, di una condizione alienante propria di gran parte della gioventù contemporanea. La possibilità di contenere e ridurre il fenomeno è affidata alle politiche sociali dei diversi paesi occidentali, che dovrebbero tendere ad incanalare la naturale aggressività giovanile verso finalità condivise e di facile comprensione. In questa operazione non sempre positivo ed apprezzabile risulta il ruolo dei genitori; essi infatti spesso tendono a giustificare le azioni violente dei loro figli, considerandole espressione della naturale esuberanza giovanile, e a criticare coloro che si adoperano per ridurre e contenere i loro comportamenti aggressivi. Una corretta gestione del fenomeno dovrebbe pertanto coinvolgere tutte le categorie ad esso interessante: bambini e adolescenti, genitori, insegnanti, psicologici.                  (Mario Pepe)