Mentre sono occupata alla mia scrivania, il mio sguardo corre alla finestra, a questa bella giornata di luglio, ma subito ritorna a tutte le carte che bisogna preparare e mi rimetto all’opera.
E’ importante non perdere tempo per aiutare i miei bambini, quelli che sono ancora negli istituti, ma già aspettano la mamma e il papà che li andranno a prendere.
Ma non so per quale motivo il mio pensiero vola ad una bambina in particolare, una piccola bimba che oltre 600 anni fa, è entrata per prima di una lunga serie, in una delle primissime case di accoglienza per i minori orfani, e sappiamo che mai nessuno è venuto per lei, ad abbracciarla, a scaldarle il cuore, ed ho quasi l’impressione che oggi, ricordandola, tento di riparare in qualche modo, al torto che lei ha subito, assieme a tanti altri piccoli insieme e dopo di lei, dalla vita.
Ero stata convocata presso l’istituto degli Innocenti di Firenze, per incontrare, assieme alle autorità italiane ed altri Enti, una delegazione di autorità inviate dallo Stato del Brasile, per una serie di modifiche e miglioramenti negli accordi fra i due paesi.
Durante un intervallo fra le varie riunioni, che si sono protratte nelle due giornate, ho avuto l’occasione, e la fortuna, di poter visitare, con l’aiuto di una guida, l’archivio storico di questa antica e imponente costruzione. Si tratta di un complesso monumentale e bellissimo nella sua austerità, progettato sulle basi di un antico ospedale del 1300. Il vecchio ospedale era stato progettato per accogliere i vecchi inabili, i malati, i bambini abbandonati.
Già in quell’epoca, a causa dell’alta percentuale di mortalità che si verificava tra i bambini, si evidenziò la necessità di progettare un luogo separato che potesse accogliere i bimbi senza famiglia, e su un progetto del Brunelleschi si innalzò il maestoso edificio che oggi ammiriamo.
L’esperienza di questa visita è stata sconvolgente: racchiusi in numerosi saloni, decorati con affreschi meravigliosi, sono custoditi i dossier delle tante migliaia di bambini che da allora sono stati raccolti e allevati fra quelle mura. Pare che ne contenesse un migliaio.
Avevo la sensazione di avvertire ancora il pianto di quei piccoli che non avevano nessuno al mondo, e immaginavo la loro lunga fila che si snodava per quei corridoi larghi e freddissimi. Risulta dai documenti che l’istituto era mantenuto dalla corporazione degli operai della fabbrica della seta che era allora un’industria molto ricca e importante, e ci raccontano che ancora ai nostri tempi, fino all’alluvione che causò gravi disastri in Firenze, è proseguita l’usanza di trovare ogni mattina sul portone principale, pentole con il latte e cesti di frutta.
Ogni bambino raccolto veniva registrato, era anche registrato il nome della balia che lo avrebbe nutrito, ed il prezzo del pagamento per la balia stessa.
Questi bambini erano conosciuti con il nome di “Gettatelli“, proprio dal verbo gettare. A volte recavano nascosta tra le fasce una mezza moneta, che avrebbe potuto consentire un giorno il riconoscimento per mezzo dell’altra moneta mancante. La loro data di nascita era calcolata dal giorno del loro concepimento.
Qualche volta c’era la richiesta “di un fantolino grazioso da accogliere come figlio“. Altro impegno dettato dalla pietà era il lascito per la dote di una ragazza che poteva così trovare nel matrimonio un inserimento nella società.
Come si può notare i tempi e i modi non erano molto diversi da quanto incontriamo ancora in alcuni paesi.
Sappiamo così che il giorno 5 febbraio, alle ore 14, presumibilmente nell’anno 1417, venne accolta la prima bambina che entrò nell’istituto, le fu imposto il nome di Magda Esmeralda, e segue un’accurata descrizione dei due eleganti abitini che indossava, è descritta la qualità della stoffa di cui erano fatti, e c’è il nome della balia che l’ebbe in carico.
Da allora fino a oggi l’istituto non ha mai interrotto la sua opera assistenziale, anche se ospita ormai solo una decina di bambini in attesa di affidamento, ma confesso che per molte ore il mio pensiero non riusciva a staccarsi dalla piccola Magda Esmeralda, dai suoi due abitini che indossava, dai documenti che ho toccato, scritti a mano con un antico inchiostro, e al pensiero di quale sarà stato il suo destino.
Oggi l’istituto possiede un patrimonio immenso dovuto a eredità, lasciti e donazioni , ma io ho pensato a tutte le nostre piccole Esmeralda, a tutti quelli che hanno trovato con noi una bella famiglia, e a tutti quelli che invece non l’hanno trovata, e mi sono augurata di poter arrivare sempre più lontano, anche a quelle creature che non hanno nemmeno la speranza di poter un giorno essere felici.