In questi giorni tutti parlano di diritti dei bambini, di adozione, di affido.
Oltre alla fondamentale applicazione della Convenzione dell’Aja ratificata il 31/12/98, che con l’insediamento dell’Autorità centrale e la pubblicazione dell’Albo degli Enti autorizzati trova la sua piena operatività, il solo argomento che pare si ritenga essenziale al miglioramento dei problemi minorili e addirittura alla soluzione dell’affollamento degli istituti, sembra essere il “muro dei quaranta anni”.
Niente più limiti di età per chi vuole adottare bambini è il disegno di legge proposto in Parlamento, come se i famosi quaranta anni di differenza, a nostro avviso in qualità di addetti ai lavori, elemento di maturità dell’articolo 6 legge 184/83 pensato dal legislatore nell’assoluto e reale interesse dei minori, potesse essere la chiave di volta per svuotare una volta per tutte gli orfanotrofi.
La prova che tutto questo è pura demagogia, è la presenza tutt’oggi di centinaia di migliaia di bambini soli al mondo e ricoverati in istituto nonostante le legislazioni dei Paesi europei e degli Stati Uniti, che in gran numero adottano dai Paesi maggiormente in difficoltà, e non prevedono alcun limite di età.
Chi come noi lavora quotidianamente per dare una famiglia a tutti i bambini che purtroppo ne sono privi, non può che osteggiare la proposta dei quarantacinque anni considerandola un provvedimento inutile che andrà ad incrementare la lista di quanti già oggi sono costretti ad una lunga attesa per il bambino piccolo e che, cosa realmente grave, annullerà le già residue possibilità di trovare una famiglia disposta ad adottare bambini dai sei anni in su.
Stiamo assistendo al tentativo di disfacimento di una buona legge, che ci ha permesso di garantire finora il massimo possibile al bambino: una famiglia amorevole in grado di accoglierlo non perché abbia due anni e sia brasiliano o ucraino ma perché è quel figlio che si amerà più di noi stessi per una vita intera.
S. è stata adottata a undici anni.
Dopo una casa di prima accoglienza e un lungo soggiorno in orfanotrofio, ha incontrato miracolosamente una famiglia vera che ha dato fiducia ad una ragazzina faticosamente sopravvissuta ad una vita difficile e che le ha voluto bene per quello che è: una ragazzina ormai grandicella che nessuno mai ha stretto tra le braccia e amato come tutti abbiamo il diritto di essere.
S. oggi è sposata, presto diventerà madre e spera di emulare l’impegno e l’amore della sua che a dispetto di tutti i pregiudizi ha trasformato quella ragazzina sola e indifesa, in una donna che ha degli affetti, che lavora ed è perfettamente inserita nella società.
La sua storia di bambina cresciuta in orfanotrofio è uguale purtroppo a quella di molti altri: troppo piccola per vivere sola al mondo, troppo grande per sperare che qualcuno si interessi a lei.
Perché un bambino grande non piace quasi a nessuno, fa meno tenerezza, crea problemi e mentre tutto questo sembra trovare conforto nella proposta del limite di quarantacinque anni in assoluta prospettiva degli adulti, i bambini ignari di tutto continuano a sognare di avere una famiglia che se già oggi è difficile da trovare, forse impossibile sarà nel futuro.
Senza aver forse riflettuto a fondo sull’effettivo interesse di tutti i minori indistintamente, la nostra società civile potrebbe privare questi bambini della speranza di credere che qualcuno si interesserà ancora a loro, che una mamma e un papà andranno in orfanotrofio per diventare quella famiglia che sognano in tutti i momenti della loro solitaria esistenza.
Come se non bastasse il limite di età per garantire un già grave pregiudizio rispetto ai diritti dei minori, è di questi giorni la sconcertante situazione di idoneità concesse per l’adozione di bambini non neri.
Nessuna parola vale la pena spendere rispetto a tale assurda espressione di intolleranza sia che provenga da un Tribunale o da certe coppie che credono che l’amore genitoriale non possa essere arricchito dai “colori dell’arcobaleno”.
Certamente mi soffermo a riflettere come ancora sia lunghissima la strada da percorrere per arrivare a guardarsi allo specchio ed essere orgogliosi dell’immagine che ne viene riflessa.
Molte cose sono cambiate nella mia vita in questi ultimi anni, ma soprattutto ho capito che la cosa che più mi arricchisce è fare seriamente qualcosa per rompere il silenzio di questi piccoli angeli.
Quindi per concludere mi viene in mente solo un frase di Madre Teresa di Calcutta come giusto epilogo e pensiero che sempre tutti noi dovremmo avere:
“Le persone si devono amare, così nessuno si sentirà escluso, soprattutto i bambini”.
