Che cos’è l’A.I.P.A.
Sono ormai oltre 15 anni che l’A.I.P.A. mette a servizio la sua esperienza affinché quei bambini, in completo stato di abbandono e senza l’amore di cui avrebbero il diritto, possano vivere il rapporto umano forse più profondo, quello tra genitori e figli.
La famiglia è una piccola società da cui tutto trae origine e si sviluppa; proprio per questo molti anni fa ci siamo chiesti se per la creazione di questo rapporto di amore dovessero necessariamente essere seguite delle regole scritte, oppure tutto questo potesse nascere semplicemente dall’amore.
Convinti che i pregiudizi razziali, sebbene purtroppo ancora fortemente radicati, vadano con tutti i mezzi contrastati e abbattuti, il nostro impegno è stato da subito quello di creare un rapporto di genitorialità nato dal cuore.
Così ci siamo indirizzati in America Latina, in Asia, e in alcuni paesi dell’Est Europeo, non per portare, laddove si vive in condizioni così disagiate, la nostra beneficenza di paesi ricchi e sviluppati, ma perché la nostra associazione ha come punto di partenza imprescindibile la tutela dei diritti del bambino: primo fra tutti l’accoglienza e il diritto alla famiglia.
Ma i bambini da difendere, offrendo loro un futuro non sono solo quelli che fortunatamente troveranno genitori pronti ad accoglierli amorevolmente.
Per questo l’A.I.P.A. collabora da sempre in numerosi progetti di cooperazione all’estero, come borse di studio, sostegno scolastico e anche alimentare, sia negli istituti che in villaggi e ospedali e ovunque sia possibile portare strutture di prima necessità. Tutto ciò si inserisce perfettamente nella Convenzione per la Tutela dei minori e la Cooperazione in materia di adozione internazionale fatta a l’Aia il 29 Maggio 93 e ratificata in Italia con legge del 31 Dicembre 98, n.476.
In 5 anni questo importantissimo documento è stato già ratificato da 11 Paesi e firmato da 26, dimostrando di essere lo strumento internazionale che in poco tempo ha raggiunto la maggiore condivisione in tutto il mondo.
Anche l’Italia, in data 31 Dicembre 1998 ha finalmente aderito ratificando la Convenzione sui diritti dei minori.
L’A.I.P.A., in qualità di Ente Autorizzato ha partecipato alle sedute preso la Presidenza del Consiglio dei Ministri insieme a tutti gli esperti del settore, per dibattere dell’effettiva necessità che attraverso la Convenzione dell’Aia si arrivi ad una integrazione della normativa in materia di adozione internazionale, che preveda fra l’altro l’esclusiva mediazione degli Enti, con supervisione di una Autorità Centrale Garante.
Questo passaggio risulta essere molto importante per eliminare l’iniziativa privata e qualsiasi speculazione economica o guadagno improprio o inesperienze devastanti da parte di coloro che sono coinvolti nell’iter adottivo.
Concludendo quindi tutti i temi un qui proposti possono essere riassunti in quattro punti fondamentali:
1. il superiore interesse del bambino;
2. la presenza dell’Autorità Centrale, organo nel contempo di delega e di controllo dell’attività degli Enti Autorizzati,
3. il sistema di Cooperazione degli Stati contraenti,
4. la garanzia del riconoscimento e gli effetti dell’adozione in tutti gli Stati contraenti.
Che cosa è cambiato con l’entrata in vigore delle normative previste dai paesi firmatari nel quadro dello svolgimento di pratiche di adozione internazionale, e particolarmente nel rapporto fra i paesi richiedenti, e i paesi donatori?
Io credo che il cambiamento principale riguardi in primis la responsabilità dei paesi ricchi, richiedenti, verso tutte le gravi irregolarità trascorse, verso i paesi donatori, spesso soverchiati da gravi situazioni sociali, quando il principale interesse non era certo nei riguardi dei minori, ma ad esclusivo beneficio delle coppie, la caduta di quell’ipocrita atteggiamento di alcuni paesi -leggi Italia-, per il quale si ammantava di perbenismo l’iniziativa privata che contava l’80% dì tutte le adozioni; l’ipocrisia con la quale ci si scandalizzava dei trafficanti di bambini, che chiedevano alle indifese famiglie italiane, cifre da capogiro affinché potessero realizzare il loro sogno genitoriale.
Ed erano le indifese famiglie italiane che andavano all’estero pronte a versare cifre improprie perché qualcuno lì accompagnasse in viaggi cosiddetti turistici nei quali incontrare (per caso) la mamma povera e sedicenne che offre il proprio figlio, che volevano controllare che il bambino fosse più che perfetto in età. colore , sesso, e perfino carattere, certo con nessuna disponibilità verso il bambino con qualche problema, anche il più lieve.
Queste famiglie che non si meravigliavano di referenti che invece dì documenti e garanzie chiedevano soltanto soldi, non si è stupita neanche quella famiglia che, senza alcuna garanzia o qualifica, ha potuto trascorrere 20 giorni in albergo con una bimba di 12 anni, e non riescono oggi a rassegnarsi all’idea che per avere in adozione quella bambina debbono espletare ora una lunga serie di pratiche senza neanche il diritto di accostarsi più a lei finché non insulterà chiara la posizione giuridica di tutti quanti gli interessati.
Queste famiglie italiane, e certo anche straniere , che fingendosi indifese hanno creato e sostenuto gli abusi e calpestato la dignità dei minori, al solo scopo di far presto, e di ottenere il meglio.
Possiamo ora sperare che le nuove coppie che daranno la disponibilità ad adottare un bambino, saranno anche preparate ad una vera accoglienza di amore, un’accoglienza che tende le braccia anche a quei bambini che sono più grandi, che non sono soltanto biondi e bellissimi che magari hanno un problema di quelli che una mamma sa risolvere. Speriamo che le nuove coppie, invece di promettere cifre per fare presto, siano disposte a dare un aiuto anche a quei bambini che dovranno restare negli istituti; che le nuove coppie capiscano e desiderino dare soldi a qualche famiglia, non per portare via il loro bambino, ma perché questa possa tenerlo, senza aggiungere a tanto dolore, il dolore di separarsi da un figlio per garantirgli una vita migliore.
Questo è quanto ci aspettiamo dalla ratifica della Convenzione dell’Aia, e per questo speriamo di poter lavorare.
(Miriam Ramello)