E’ certamente interessante conoscere notizie sui paesi dai quali provengono i nostri figli, i quali debbono avere un approccio sereno e bene informato sul dove ha avuto inizio la loro vita. Sempre più spesso, specialmente nei paesi dell’America Latina, l’adozione del proprio figlio avviene dopo un periodo di soggiorno e di convivenza nel suo paese di origine, mentre in altri paesi il soggiorno è breve e limitato alle formalità conclusive, in tutti e due i casi però lo stress dell’iter adottivo cancella al momento ogni altro interesse; abbiamo perciò pensato di completare queste lacune preparando un quadro descrittivo su ognuno dei paesi dai quali i nostri figli provengono, ma l’impresa non sarebbe stata semplice se non fosse intervenuto in nostro aiuto nientemeno che il Prof. Mario Pepe, storico dell’arte, il quale ci ha generosamente dato un po’ del suo tempo organizzando una serie di articoli che saranno pubblicati anche nei prossimi report.
Cominceremo con il favoloso MESSICO, del quale proponiamo oggi la prima parte, riservandoci di pubblicare la seconda nella prossima edizione.
Il 18 Febbraio 1519 Hernan Cortes parte da Cuba al comando di 11 navi e 600 uomini con l’intendimento di conquistare le terre costituenti oggi lo Stato federale del Messico ed allora unificate sotto il dominio degli Aztechi: la Spagna aveva lo scopo di sfruttare le grandi risorse minerarie – soprattutto argento- di quei paesi. Rapida fu la conquista: gli Spagnoli sbarcano presso l’odierna Vera Cruz nell’Aprile del 1519, arrivano a Tenochtilan -capitale dello Stato Atzeco- nel Novembre dello stesso anno. Oscuri sono i motivi per i quali Montezuma II, re degli Aztechi, favorisce i disegni di Cortez; ma Cuauthemoc, suo successore, organizza una strenua resistenza all’invasore; gli Spagnoli tuttavia, contando sulla superiorità del loro armamento e sull’appoggio di popolazioni locali contrarie agli Aztechi, il 13 Agosto 1521 espugnano Tenochtilan. Finisce allora l’indipendenza del paese: gli storici definiranno il periodo precedente la conquista spagnola “precolombiano”; esso è segnato dal susseguirsi di varie civiltà dovute a popolazioni diverse (Olmechi, Maya, Toltechi, Aztechi), tutte portatrici di una grande fioritura artistica ed intellettuale.
Nel 1521 inizia dunque per il Messico il periodo coloniale, che durerà tre secoli esatti, fino al 1821. La politica dei conquistatori tende ad uno sfruttamento intensivo delle ricchezze del paese, sovvertendo radicalmente i sistemi economici delle epoche precedenti; nei riguardi delle popolazioni locali si attua una sorta di genocidio, che conduce ad una drastica riduzione della loro consistenza : si stima che dai circa 70 milioni del 1521 si contassero nel 1650 non più di tre milioni e mezzo di indigeni.
Nei secoli della colonizzazione si gettano le basi degli squilibri economico-sociali del Messico: le ricchezze vengono trasferite in Europa e nessuna attività produttiva è avviata con l’intendimento di migliorare le condizioni delle popolazioni indigene; nei riguardi delle quali si dispiega ben presto l’interesse della Chiesa Cattolica, rivolto alla cristianizzazione degli “infedeli”.
Ma la Chiesa avviò anche una politica culturale, non priva di contraddizioni, ma che condusse, in ogni caso, alla apertura di numerose istituzioni scolastiche e alla conservazione di un nucleo significativo di opere d’arte precolombiana.
Le riforme avviate dalla Corona Spagnola nella seconda metà del Settecento con una riorganizzazione del sistema tributario, sempre più vessatorio, sono la premessa per i primi movimenti di emancipazione dal dominio spagnolo; si giunge senza grandi sconvolgimenti al 1821: in Spagna viene promulgata una costituzione liberale e sulla sua scia il colonnello A. Iturbide, assecondando gli interessi di proprietari spagnoli e creoli, e della Chiesa, nello stesso 1821 proclama la costituzione dell’Impero messicano che, per volere di un Congresso Costituente, si trasforma nel 1823 in Repubblica Messicana. Si apre una stagione di duri scontri tra le forze di orientamento liberale e quelle conservatrici intese alla difesa dei privilegi e dei possedimenti, soprattutto terrieri, eredità del periodo coloniale. Gli anni tra il 1830 e il 1910 sono segnati da insurrezioni, interventi di potenze estere, laceranti contrasti tra le forze politiche. Dal 1875 al 1910 fu a capo del paese il dittatore Porfirio Diaz, che riuscì a costituire uno Stato forte e centralizzato, basato però sulla corruzione, i privilegi di pochi, la repressione di ogni istanza liberale.
Nei primi anni del 900 si avvia un diffuso fenomeno di opposizione alla dittatura, capeggiato dal liberale F. Madero; la prima vera insurrezione armata di operai e contadini guidati da Emiliano Zapata avviene nel 1910 nello Stato di Morelos: il dittatore Diaz è costretto a lasciare il potere, ma la reazione controrivoluzionaria ed i contrasti tra gli insorti portano alla dittatura militare di V. Huerte. Dopo successive confuse vicende prende il potere l’ala rivoluzionaria moderata, e così nel 1919, con l’assassinio di Zapata, si conclude la “rivoluzione messicana”. Da essa deriva il moderno Stato messicano, con i programmi di industrializzazione, la ricostituzione della proprietà agricola con una marginale presenza contadina, l’integrazione dei lavoratori al sistema costituzionale.
E’ la nascita dello Stato sociale messicano istituzionalizzato con il Partito Nazionale Rivoluzionario (1929) – poi Partito Rivoluzionari Istituzionale (PRI)- che governa il paese da settanta anni tra luci ed ombre: rispetto alle regole democratiche ma difficoltà nel realizzare un reale ricambio della classe dirigente, indiscusso progresso economico ma permanenti gravissime diseguaglianze sociali, affermazioni sul piano internazionale ma non risolta questione della condizione dei contadini indios, dalla quale si origina uno stato di guerriglia, particolarmente attiva nello Stato del Chiapas.
-CONTINUA- (Mario Pepe)