AIPA: un’associazione fatta in casa

Al BAMBINI ABBANDONATI UNA FAMIGLIA ITALIANA

 

Sorta per iniziativa di alcuni dipendenti RAI, l’Associazione Italiana Pro Adozioni dà, collegandosi con gli istituti per l’infanzia di vari paesi, la possibilità di compiere un gesto di alta solidarietà

Posso dire di aver conosciuto Franco un pomeriggio del dicembre ’76 nella sede del CIAI (Centro italiano adozioni internazionali) a Milano. Infatti curiosamente, pur lavorando da più anni nella medesima Direzione Tecnica. della RAI, lui funzionario dell’alta frequenza dimorante al 5° piano di Borgo S.Angelo  ed io in edilizia due piani più sotto, ci conoscevamo solo di vista.

 

Invece quel pomeriggio, la stranezza di vederci in un ambiente così diverso dal solito e per motivi così particolari, innescò un processo di conoscenza, di amicizia e solidarietà che – robusto – continua tuttora.

Franco era lì per portare alcune carte relative a Sung-ya, la bambina coreana di tre anni la cui pratica di adozione attraverso il CIAI si era conclusa alcuni mesi prima con l’arrivo della piccola. Invece io ero quasi all’inizio della complessa e lunga pratica di adozione.

Facemmo una lunga chiacchierata, quel pomeriggio: come mai coppie che già avevano figli propri (lui due maschi, io tre) sentivano la necessità di adottare? perché la scelta era verso l’adozione internazionale? che difficoltà di inserimento all’interno della famiglia e della società avrebbe vissuto il minore? ed ancor più il minore sradicato dal suo ambiente nativo, con tutti i riflessi dovuti alla sua diversità razziale? Problemi grossi e prospettive problematiche si delineavano allora. Se socchiudo gli occhi e riavvolgo rapidamente il nastro la memoria, vedo l’arrivo della mia Kochumary, lo scambio di esperienze tra le famiglie, la decisione di Miriam e Franco di adottare una seconda bambina, l’arrivo di Sini. la crescita e l’inserimento nel mondo familiare e sociale delle nostre figlie.

Ora Sung-ya. il cui nome significa sole del mattino, é una giovane affascinante ragazza romana dalle delicate, suggestive fattezze orientali. Ecco. ora possiamo dire che le perplessità espresse tra noi in quel pomeriggio del dicembre 76 sono state felicemente superate.

Ma. oltre alla nascita italiana di queste tre bambine in quegli anni nacque anche l’A.l.P.A. Fu un magistrato del Tribunale dei Minori a dire: “manca a Roma una associazione per le adozioni simile a quella milanese; perché non la costituite voi famiglie che avete vissuto e maturato personalmente i problemi delle adozioni, anzi delle adozioni internazionali? Aiutereste così altre coppie, partecipandole delle vostre conoscenze ed esperienze a  raggiungere l’obiettivo dell’adozione”.

Così nacque l’A.I.P.A. associazione italiana pro adozioni: con il suggerimento di un magistrato e con un motore esile ma potente chiamato Miriam, con le poche famiglie conosciute durante l’esperienza adottiva e con la disponibilità di altre persone motivate dalla solidarietà.

A.I.P.A.. Una associazione con rapporti di conoscenza ed  epistolari ormai stabili con istituti per l’infanzia di molti paesi del mondo, e che é riuscita a dare una famiglia italiana a più di settanta bambini in stato di adozione cioè abbandonati e che perciò non avrebbero . avuta altra “chance”  nella vita se non l’istituto.

Ma l’A.I.P.A. non é solo adozioni: ci sono più di 200 bambini, con  famiglie poverissime, che possono studiare nel loro paese e quindi emanciparsi grazie ad una piccola cifra mensile che famiglie italiane garantiscono per alcuni anni. E’ una forma di adozione alta e bella, perché sublimata. Ma poi non tanto sublimata perché alcune famiglie sono andate in India per vedere il loro “figlioccio” e toccare con mano i benefici dovuti al loro intervento E’ certamente poi una motivazione positiva per giustificare un viaggio in oriente.

L’A.I.P.A. é basata sulla attività di volontariato dei propri soci, la sede utilizza i locali di un appartamento di proprietà di una associata che per tale scelta rinuncia ad affittarlo. E malgrado la perenne carenza di disponibilità economiche (le poche risorse disponibili vengono investite nell’attività “primaria”), la associazione é riuscita ad ottenere il riconoscimento come “Ente morale” dal Presidente della Repubblica, riconoscimento necessario per poter trattare con le Magistrature di molti Stati.

Soldi dunque non ce ne sono, e le assemblee annuali della associazione si celebrano nei prati della periferia romana, con la forma del pic-nic, anche se é mediamente difficile trattare, discutere ed approvare il bilancio disturbati da gruppi di bambini variamente colorati; é però l’occasione per vedere insieme tante nostre famiglie.

P.S. Ho superato il disagio di parlare di vicende anche personali grazie alla insistenza dell’amico Pino Di Vito ed alla possibilità, tramite la pubblicazione su Armonia di aiutare coppie che desiderano adottare (o meglio, aiutare bambini con poche “chanches” ad avere una famiglia che dia loro quell’amore e quelle disponibilità che ogni bambino del mondo ha diritto di avere) e di aiutare l’A.I.P.A.: somme devolute a quest’ultima (da privati, da società, da banche) possono essere detratte dalle tasse essendo la associazione, appunto, un Ente Morale.

(Questo articolo è apparso sulla rivista “ARMONIA”, n.1/2 ’97 pubblicata dalla RAI – Radiotelevisione Italiana)