La solidarietà in casa

Dieci anni fa la storia dell’umanità ha fatto un passo indietro.
Era il 1986 un giorno come tanti altri nel piccoli villaggi contadini in Bielorussia e Ucraina, quando improvvisamente esplose il reattore della centrale nucleare di Chernobyl causando in pochi minuti la più grande catastrofe nucleare civile di tutti i tempi.
Molti paesi europei furono attraversati dalle nubi radioattive e gli effetti terribili delle radiazioni sulle popolazioni perdurano ancora oggi; infatti le previsioni più ottimistiche hanno stabilito che il terreno comincerà a decontaminarsi dal cesio soltanto tra 200-300 anni
La reale situazione dopo la tragedia, non venne subito compresa o forse come spesso accade non si volle essere chiari.
Chi di noi non ricorda nelle settimane successive al disastro il divieto di mangiare verdure e uova e di bere latte, ma poi l’allarme rientrò e tutto finì anche perché fortunatamente per l’Italia gli effetti prodotti dalla nube radioattiva furono minimi.
Purtroppo però in Bielorussia e Ucraina la realtà é ben diversa.
I villaggi più vicini a Chernobyl sono stati abbandonati, mentre il resto della popolazione non ha alternative: o mangia cibi contaminati o muore di fame.
Il dramma però é che proprio il cesio contenuto nelle patate, nella carne, nel latte e acqua provoca la leucemia e il cancro alla tiroide nei bambini e nella maggior parte dei casi il cancro allo stomaco negli adulti.
Nei primi anni novanta quindi alcuni volontari cominciarono ad organizzare in Italia i “villaggi SOS” per offrire brevi soggiorni ai bambini provenienti dalle zone più colpite seguendo il consiglio di medici russi e provenienti da tutto il mondo i quali com-pletando le loro ricerche in merito constatavano effettivamente gli enormi benefici, primo fra tutti l’abbassamento a livelli minimi del cesio nell’organismo e il riassorbimento di ghiandole e linfonodi, proprio in quei bambini che lontano dalle zone contaminate avevano avuto la possibilità di mangiare cibi sani, vitamine e respirare aria migliore
Dopo questa prima esperienza i volontari hanno dato vita a varie associazioni e dal 1993 personalmente collaboro con una di esse per garantire questi importantissimi soggiorni in vari periodi dell’anno presso le famiglie che sensibilizzate al problema hanno acconsentito e continuano a richiedere continuamente di poter avere la gioia di un piccolo ospite in casa.
La mia famiglia da tre anni accoglie Svetlana, una bambina che oggi ha undici anni e ormai e entrata nei nostri cuori per l’amore e l’affetto reciproco che ci lega.
Non potrò mai dimenticare il giorno che arrivò in casa: era molto magra, pallida perché oltre ai gravissimi problemi causati dalle radiazioni, i bambini di quelle zone hanno enormi carenze vitaminiche in quanto frutta e verdura sono per quei popoli un’illusione, i prodotti d’importazione si pagano in dollari e sono quindi proibiti a chi vive la miseria del disfacimento dell’ex Urss.

Svetlana era logicamente impaurita, spaesata come sarebbe stata qualunque bambina lontana dai suoi cari, in un paese straniero e senza comprendere una sola parola della lingua
Cominciò quindi la nostra reciproca conoscenza, cercammo di farla ambientare nella sua nuova casa instaurando così quella fiducia che sebbene ottenuta con molti sacrifici si rivela oggi in tutti i suoi aspetti positivi.
La nostra famiglia é quindi cresciuta non solo numericamente ma anche psicologicamente per l’impegno assunto con Svetlana e tutta la sua famiglia, perché queste persone dopo anni di isolamento e di disperazione finalmente oggi hanno la consapevolezza che qualcuno li sostiene, che non sono più soli ad affrontare il dramma che stanno vivendo e che i loro bambini nelle nostre case non hanno trovato chi vuole sostituirsi a loro, ma chi con amore e impegno vuole cercare di salvare la vita dei loro figli.
I1 mio impegno é poi aumentato da quando lo scorso anno ho visitato il villaggio di Krasnaia Volia nella regione di Brest in Bielorussia una delle zone più colpite insieme a Gomel.
Li ho potuto constatare effettivamente l’angoscia e la rassegnazione della gente.  In queste zone la vita scorre lenta, monotona, scandita dai ritmi della campagna, ma la cosa più impressionante é che Chernobyl ormai fa parte dell’esistenza della gente che si ammala ogni giorno ed é consapevole di non potersi curare perché mancano gli strumenti scientifici, non c’é una sola fabbrica di medicinali e quindi si convive con la disperazione.
Abbiamo poi scoperto la situazione disastrosa degli orfanotrofi ormai raddoppiati in questi dieci anni dal disastro.
Infatti l’età media dei decessi per cancro tra gli adulti é di 25-35 anni, in una nazione in cui a questa età si hanno già 4-5 figli; c’e poi il flagello dell’alcolismo dilagato anche tra le donne che produce l’abbandono dei minori oppure violenze che comportano la decadenza dalla patria potestà.
Questi problemi non sono diversi da tanti altri paesi poveri ma in Bielorussia e Ucraina si sono aggiunti il cancro, le mutazioni genetiche, la morte certa.
Per questo necessariamente l’aiuto deve essere dato loro lontano dalla terra, non per sradicarli dalle origini o per sostituirsi alle loro famiglie ma per cercare di dare loro la speranza di sopravvivere, per dare loro la speranza di un futuro.
Agli orfani certo gli si da anche il calore di una famiglia e per chi pensa che questo possa loro provocare emotivamente delle ripercussioni, credo di poter dire per la mia esperienza con loro che, sebbene solo per periodi di tempo limitato nel corso dell’anno, questi bambini conoscono una vita diversa e si sentono finalmente amati da qualcuno.
Del resto, l’aiuto offerto a queste popolazioni é principalmente per la salute, e di fronte ad essa tutti sono uguali e devono avere lo stesso diritto di sperare, anche questi bambini condannati a convivere con la morte senza sapere il perché.